Da Tonino Armata riceviamo e volentieri pubblichiamo :
San Benedetto del Tronto (Ap).- “Era stato già abbastanza avvilente vedere il centrosinistra affidarsi a Giuseppe Conte, con i ministri a twittare in coro #avanticonConte e il Partito democratico a diffondere in rete manifesti in cui gli giurava eterna fedeltà. Ma tutto questo era niente dinanzi allo spettacolo di un Partito democratico in balia della piattaforma Rousseau.
E invece eccolo lì, imbambolato e infelice, incapace di esprimere alcuna posizione chiara che non sia un puro e semplice atto di sottomissione all’alleanza giallorossa, direttamente o indirettamente, attraverso esplicite preghiere o per interposti pretesti programmatici (esilarante il riferimento a quei decreti sicurezza che si è tenuto oltre un anno proprio per compiacere i grillini, ridiventati di colpo principio non negoziabile, nel tentativo di allontanare la Lega dalla maggioranza).
Alcune settimane fa sosteneva che mettere in crisi il governo era un atto di irresponsabilità verso la nazione (perché rischiava di precipitarla alle elezioni in piena pandemia), tre settimane fa che l’unica alternativa a Conte era il voto (e pazienza per la pandemia) e dopo bravo chi lo capisce, mentre se ne stava lì, in trepidante e silenziosa attesa del responso proveniente dalla pseudo-consultazione grillina.
Se è comprensibile – e sottolineo se, e sottolineo pure comprensibile, non di più – che sia stato Mario Draghi, per il bene del nascituro governo e della sua larga maggioranza, a fare in qualche modo buon viso a cattivo gioco, è incredibile che dai vertici del Partito democratico – dai quali in queste settimane sono venute tante lezioni sul senso di responsabilità e sul senso delle istituzioni che occorre mostrare in momenti così gravi, e sull’urgenza e la necessità di dare al Paese un governo – nessuno abbia avuto il coraggio di dire mezza parola sull’increscioso spettacolo di un Paese appeso da giorni ai capricci di un comico, e agli annunci, ai rinvii e alle assurde trovate della sua compagnia di giro.
Evidentemente l’unica priorità dei dem è difendere a ogni costo quel che resta della propria strategia, cioè l’abbraccio con il populismo grillino, cui tutto il resto è subordinato: pandemia, crisi economica, recovery plan.
Tutto è fungibile, trattabile e modificabile, l’unico punto fermo è tenere insieme l’asse con i cinquestelle, a qualunque prezzo politico e programmatico, nella segreta speranza di ottenere una sorta di Conte ter guidato da Draghi, il quale in pratica dovrebbe offrire la sua autorevole copertura alla gigantesca montagna di minchiate che il precedente governo ha prodotto in ogni campo, dai più seri ai più futili.
Ma sarebbe anche interessante capire quanto di questo spettacolo corrisponda all’idea di nuovo centrosinistra accarezzata dai democratici, e se dunque un domani dovremo magari attenderci primarie su Rousseau, riunioni di coalizione nella sede dell’omonima associazione o magari direttamente della Casaleggio associati (qualcosa mi dice che non sono molto distanti) o congressi improvvisamente sconvocati e riconvocati da un comico con dodici ore di preavviso, a sua discrezione, attraverso un video su Facebook. Giusto così, per sapere.
Quanto all’Italia, speriamo che la transizione dal Conte bis al Draghi sia davvero ecologica, consentendoci di smaltire al più presto i molti ingombranti residui ideologici di un’altra stagione, che fino a oggi hanno intralciato e inquinato l’azione di governo, prima di ritrovarci un’altra volta alla casella di partenza.
Scollamento è la parola più usata. Il Pd è lontano dalle realtà locali, commissariato in Calabria, Basilicata, Umbria e con i segretari dimissionari in Veneto e Marche, il dissenso strisciante, ormai è un “logoramento quotidiano”. Il segretario ne ha preso atto, soprattutto ora che le bordate arrivano dagli amministratori dem, con in testa i sindaci Nardella, Gori, Decaro e il governatore Bonaccini.
Soprattutto però c’è il gruppo degli amministratori che pressa nel Pd. Il presidente dell’Anci, e sindaco di Bari, Antonio Decaro lancia un Sos sul partito in balia delle correnti.
I primi cittadini di Bergamo e di Firenze, Giorgio Gori e Dario Nardella, vogliono una scossa. Così come il governatore dell’Emilia Romagna, Stefano Bonaccini, indicato come il futuro sfidante di Zingaretti. Nardella chiede che il Pd «recuperi orgoglio e vocazione maggioritaria» e che ritrovi i milioni di voti persi. Nelle politiche del 2008 il Pd, al suo esordio, fu votato da oltre 12 milioni di cittadini, in quelle del 2018 da sei milioni.
Nel campo democratico sta emergendo un fronte compatto, da nord a sud, di amministratori locali che hanno vinto le ultime elezioni, portando al Pd consenso e popolarità. Sindaci e presidenti di Regione cominciano a parlare lo stesso linguaggio, perché vedono lo scollamento tra il Paese reale e un partito arroccato dentro i Palazzi romani e schiacciato dalla logica di potere delle correnti.”