Ancona.- “È un tentativo di risposta a livello regionale ai recenti casi, avvenuti peraltro proprio nel territorio regionale delle Marche, che hanno riportato con forza l’attenzione dell’opinione pubblica sul tema dell’assistenza sanitaria per la morte serena e indolore di pazienti terminali, tema su cui verte l’articolato della presente proposta di legge”.
Così la consigliera regionale del Partito Democratico Manuela Bora presenta la proposta di legge sul fine vita appena depositata.
“Pensiamo al caso di Fabio Ridolfi di Fermignano – afferma Bora – a cui non siamo stati capaci di garantire una morte dignitosa, indolore e serena, costringendolo alla sedazione profonda e una atroce sofferenza di circa un giorno (ma avrebbe potuto durare anche di più), costringendolo sostanzialmente a spegnersi per inedia, ovvero di fame e di sete. Pensiamo al caso “Mario”, di cui sappiamo adesso il vero nome, Federico Carboni, 44enne di Senigallia, il primo italiano ad aver chiesto e ottenuto l’accesso al suicidio medicalmente assistito.
Pensate che lo Stato ha chiesto a Federico Carboni 5000 euro per il suicidio assistito, che sono stati raccolti tramite una meritoria raccolta fondi che testimonia, da una parte, la generosità e la sensibilità degli italiani e dall’altra evidenzia l’arretratezza della struttura burocratica statale, del tutto insensibile e incapace di accogliere queste importanti novità nell’ambito dei diritti. Pensiamo al caso di “Antonio”, di Fermo, e a tanti altri che si stanno palesando, anche in queste ore”.
“La proposta di legge – spiega la consigliera dem – ha come fondamento giuridico la sentenza della Corte costituzionale n. 282 del 2019, quella, per intenderci, che ha riguardato il caso Cappato-Antoniani e che ha tolto dal campo della punibilità penale l’assistenza alla morte serena. Preso atto della competenza concorrente delle regioni in materia di tutela della salute, emerge l’obbligo per le strutture sanitarie italiane di fornire il livello di assistenza riveniente dall’applicazione di norme statali, così come derivate da un giudizio di costituzionalità con cui è stata ampliata la sfera di non punibilità di una condotta e perciò aggiungendo una “nuova prestazione” assistenziale a carico del servizio sanitario nazionale”.