Cannabis, raddoppiate le colture nelle Marche

Ancona 24 luglio.- Nelle Marche negli ultimi anni sono più che raddoppiati i terreni coltivati a cannabis. Nelle nostre campagne 140 ettari sono dedicati alla canapa, pianta che in passato aveva molteplici impieghi (sia nel tessile che nel settore alimentare) e che poi fu abbandonata. Un settore che negli ultimi tempi sembrava in ripresa grazie alla domanda dei consumatori di prodotti come formaggi, birra, bevande aromatizzate, pasta, biscotti, cosmetici ma anche eco mattoni per l’edilizia. Tutta questa ripresa rischia di essere abortita nell’incertezza della normativa che, a oggi, non consente ai commercianti, ma anche agli agricoltori, di poter lavorare serenamente. I sequestri preventivi, le sentenze che si alternano e spesso vanno in contrasto tra loro e l’impossibilità anche di poter utilizzare i normali canali social per promuovere la vendita diretta non fanno che alimentare l’incertezza delle aziende agricole.

Per Coldiretti “la coltivazione della canapa rappresenta un settore ad alto potenziale innovativo e remunerativo per le imprese, attraendo così  soprattutto le nuove generazioni, nonché un elemento agronomico di comprovato beneficio per i terreni in rotazione. Per questi motivi è urgente e necessaria una nuova regolamentazione legislativa che possa definire i confini di azione entro cui le nostre aziende possano programmare investimenti colturali e di trasformazione”.

 

Nota storica

La riscoperta della canapa degli anni Trenta e la proibizione del 1937 

( dal sito “Usi della canapa”)

“Per quanto riguarda gli usi industriali, negli anni Trenta ci fu un rinnovato interesse per la canapa: vennero studiati nuovi materiali ad alto contenuto di fibra per l’industria, materie plastiche ricavate dalla cellulosa del legno, e venne anche studiata la possibilità di fabbricare la carta col legno della canapa. Infine con l’olio già si producevano in grande quantità vernici e carburante per auto.
Proprio in quegli anni il magnate del petrolio Henry Ford costruì un prototipo di automobile in cui sia la carrozzeria che gli interni e persino i vetri dei finestrini erano fatti di canapa. Quest’auto pesava un terzo di meno, e anche il carburante che la faceva muovere era di canapa.
Negli anni Trenta la canapa era diventata matura per servire come fonte abbondante di materie prime per numerosi settori dell’industria. Un’industria molto più sostenibile per l’ambiente rispetto a quella che conosciamo.
Purtroppo queste promesse non furono mantenute. Si erano allora già costituiti dei grossi interessi che si contrapponevano alla canapa. Con il petrolio si incominciavano a produrre materiali plastici e vernici, e la carta di giornale della catena Hearst era fabbricata a partire dal legno degli alberi con un processo che richiedeva grandi quantità di solventi chimici, forniti dalla industria chimica Du Pont.
La Du Pont e la catena di giornali Hearst quindi si coalizzarono. Con una  campagna di stampa durata anni la cannabis, chiamata da allora con il nome di “marijuana”, venne accusata di essere responsabile di tutti i delitti più efferati riportati dalla cronaca del tempo.
Il nome messicano “marijuana” era stato scelto con cura al fine di mettere la canapa in cattiva luce, dato che il Messico era allora un paese “nemico” contro il quale gli Stati Uniti avevano appena combattuto una guerra di confine. Inoltre era un termine sconosciuto in America, per cui l’opinione pubblica, sentendo parlare di una droga tanto pericolosa, non poteva certo immaginare che fosse l’innocuo e gentile farmaco chiamato cannabis dalle proprietà rilassanti, che come blando effetto collaterale poteva provocare solo una moderata allegria.
Approfittando anche del fatto che l’America degli anni Trenta attraversava una profonda crisi economica, con milioni di disoccupati e un’opinione pubblica esasperata alla ricerca di qualcuno con cui prendersela, nel 1937 venne approvata una legge che proibiva la coltivazione di qualsiasi tipo di canapa. Da notare che non venne proibita solo la canapa ricca di resina, ma anche la normale canapa coltivata.  Da notare infine che, a conti fatti, l’unico proibizionismo che ha veramente funzionato, è stato quello nei confronti della canapa per uso industriale, il vero obiettivo della proibizione, oltre che della canapa medica.

Dagli anni Trenta in poi l’industria chimica del petrolio e quella della carta fabbricata col legno degli alberi hanno provocato infinite distruzioni negli ecosistemi mondiali. Se oggi si vuole costruire una società dei consumi molto più sostenibile per l’ambiente è quindi necessario rovesciare quella decisione che nel 1937 ha trasformato uno dei più importanti e innocui farmaci in una pericolosa droga.
Come già detto la cannabis può anche essere una vera droga, se non per i danni, almeno per gli effetti che può provocare. La resina allo stato puro (conosciuta come hashish) assunta a forti dosi provoca effetti allucinogeni, tanto più intensi quanto maggiore è la dose. Non è stata però questa la ragione della proibizione della canapa del 1937, perché allora l’uso allucinogeno era di fatto sconosciuto in America, non corrispondeva al nome messicano di marijuana, e in ogni caso non avrebbe potuto provocare i fatti di cronaca violenti che le venivano attribuiti.
Ad ogni modo questo problema esiste. Un uso consumistico della cannabis a scopo allucinogeno è da sconsigliare: l’hashish non è una sostanza anodina; può provocare forti sensazioni sia piacevoli che spiacevoli, e quindi bisognerebbe almeno usarla con cautela.”

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