Città di Castello (Pg) 30 agosto.- Almeno una volta nella vita. Tutti quelli che amano l’arte, la cultura, la storia, la vita dell’uomo, devono farlo. Visitare a Città di Castello i musei che espongono le opere di Alberto Burri è quasi un’esperienza mistica, religiosa. Soprattutto se si conosce la poetica di questo artista umbro che ha rivoluzionato l’arte contemporanea, spiazzando critici, storici e appassionati. Iniziò negli anni Quaranta del Novecento, dopo essere stato prigioniero di guerra negli Usa ( era sottotenente medico), e dove scoprì dapprima la pittura. Poi tornato in Italia cominciò a lavorare a Roma, ma presto seguì la sua via. Che era e divenne unica e dirompente.
Quella di utilizzare la materia, di ogni genere fosse per realizzare opere che facessero scandalo. Come i celebri sacchi di juta degli anni Cinquanta, caratteristici di un periodo forse irripetibile della sua carriera. Tagliati, cuciti, lacerati, colorati di rosso come delle grandi ferite sanguinanti , i Sacchi celebrarono Burri come uno degli artisti più all’avanguardia del Dopoguerra. Anche se subito non vennero compresi, nella loro originalità e potenza e ci volle tempo perché fossero valutati nella loro carica evocativa e traumatica .
Ma intanto il pittore e scultore umbro, proseguì il suo cammino, ampliando il suo raggio di azione. E così arrivarono i Grandi Ferri, dalla forma perfetta e dalla forza straordinaria – quelli esposti a Palazzo Albizzini sono emozionanti – le piccole e grandi Combustioni ( il fuoco che brucia e modella la plastica, altro elemento centrale dell’esperienza di Burri) – i Cretti bianchi e neri. E infine i Cellotex, negli anni Settanta, che forse sono i lavori meno innovativi del percorso del grande artista di Città di Castello, le serigrafie e molto altro ancora.
Famosa è poi la storia del Grande Cretto di Gibellina, rievocata in alcuni filmati proiettati negli Ex Essicatoi del Tabacco, appena fuori del centro cittadino. Il sindaco del paese siciliano distrutto da un terremoto nel 1968 lo chiama per realizzare un’opera da installare nella Gibellina Nuova. Ma Burri non fa come tutti gli altri. E propone al sindaco un idea geniale : riutilizzare, compattate e rivestite di cemento bianco , tutte le macerie del borgo devastato, per “ricostruire” simbolicamente la vecchia Gibellina lì sulla collina dov’era prima del sisma. Diventerà, il Grande Cretto, la più vasta opera di Land Art presente in Europa. Un grande “sudario” bianco di nove ettari, con le crepe che rappresentano la viabilità principale della città distrutta, e che è divenuto nel tempo parte del paesaggio stesso, oltre che luogo di attrazione turistica, di spettacoli e di manifestazioni culturali e non solo. Tutto questo grazie ad Alberto Burri, che era nato nel 1915 e morì nel 1995.