Jesi – Le note e le parole dei Carmina Burana, eseguite dal “Duo Verba et Soni”, hanno chiuso la sessione del Festival Stupor Mundi che si è svolta a Jesi (dopo la prima sessione di Ancona alla Mole Vanvitelliana ) dal 9 all’11 maggio.
Ma non finisce qui visto che di Federico II si parlerà ancora molto presto nelle Marche e a Napoli, con le celebrazioni dell’ottavo centenario della prima Università statale della storia Università di Napoli, per arrivare alle date del 13 e del 26 dicembre (date di morte e nascita dell’imperatore): occasioni per parlare ancora dell’imperatore svevo e del mondo che lo circondava.
Giornata che si è aperta con il professor Antonio Musarra che ha parlato del “lago Mediterraneo”, un luogo di incontro e di scontro, e di “mille cose insieme per dirla con Braudel – ha detto Musarra. È un mare navigato che richiedeva la conoscenza dei venti e delle correnti, delle stelle e della costa, ma anche luogo di innovazione in cui si sperimentano imbarcazioni con caratteristiche per la guerra o per il commercio”.
Dalla navigazione a vista, lentamente, sin dai tempi di Federico II, si inizia a usare la bussola e poi compaiono le carte nautiche e i portolani.
“Ricordiamo che in epoca federiciana cambia anche la geografia del Mediterraneo con la presa di Costantinopoli del 1204 e lo spostamento in Egitto dell’obiettivo dei crociati – ha affermato Musarra. Federico II però non ha una flotta, in questo lago Mediterraneo si muovono Pisani, Genovesi, Veneziani e musulmani. Così l’imperatore avvia una campagna di potenziamento e costruzione di porti, recuperando quelli normanni e sviluppando caricatoi per sostenere il commercio e il deposito delle merci e pensando di costruire quella flotta che il regno di Sicilia non ha mai avuto, ma che Federico II sognava”.
Il Festival non poteva sottrarsi dall’affrontare un altro grande tema tanto caro all’imperatore: quello della falconeria. Il professore Baudouin van den Abeele, ha ricordato che appunto “quando si parla di falconeria, viene in mente il trattato di Federico II, il più voluminoso del Medioevo e anche il più completo, ma meno conosciuta è la traduzione dei trattati arabi sulla falconeria e che Federico II fa tradurre: Il Liber Moamin Falconarii, tradotto da Teodoro di Antiochia”. Si tratta di un libro che descrive sì rapaci utilizzati per la falconeria, ma affronta il tema delle malattie, dell’allevamento e delle cure.
Un capitolo affronta anche l’allevamento dei cani da caccia, sottolineato, nel manoscritto conservato a Vienna, dalla curiosa aggiunta, in margine, di un levriero, a correggere la didascalia originaria.
Del trattato di Federico II ha parlato la professoressa Anna Laura Trombetti Budriesi, che ha pubblicato l’edizione moderna per Laterza e ha assunto la curatela scientifica del Museo multimediale Federico II di Jesi, ricordando che “le indicazioni di Federico II su falchi e prede, parlando con chi pratica la falconeria, risulta ancora attuale e utile. È un trattato incompleto se stiamo a quanto scrive lo stesso imperatore laddove afferma che avrebbe affrontato anche il basso volo e la cura dei rapaci, cioè di un argomento che non trattato – ha ricordato Trombetti Budriesi.
Abbiamo la descrizione dell’alto volo, che non si fa più per via degli spazi, con la caccia che inizia a cavallo, con il falco che viene liberato in una vasta zona e i valletti che, appostati in determinati punti, liberano gli uccelli. Il falco vola alto, avvista la preda e la attacca”.
Secondo la professoressa era anche “la caccia più pericolosa perché il falconiere non vede l’animale, non lo controlla e rischia di perderlo. Quando il falco cattura la preda bisogna essere veloci per arrivare sul posto prima che dilani la preda”. Il trattato di Federico II non è solo scientifico, ma anche politico: “Federico II è l’addestratore del falco così come l’uomo che dà istruzioni ai suoi sottoposti e che agiscono per lui. Il trattato manifesta anche l’essenza del pensiero dell’imperatore nei confronti del sapere, della conoscenza, che vuole capire i misteri della natura tramite l’osservazione” ha concluso Trombetti Budriesi.
A Silvia Maddalo, docente all’Università della Tuscia, il compito di chiudere la sessione parlando del trattato della falconeria di Federico II nella chiave di lettura che ne diedero i due figli: Enzo e Manfredi, committenti di importanti, seppur diverse, copie dell’opera. Per Maddalo è importante il piano comunicativo dell’opera voluta dall’imperatore, soprattutto sul piano iconografico. “Siamo a Jesi, qui è nato Federico II e Pietro da Eboli ci raffigura Costanza che tende il figlio alla moglie del duca di Spoleto, ai quali lo affida prima di partire da Jesi per raggiungere il marito in Sicilia – ha detto Maddalo. Nel De arte venandi cum avibus Federico II è rappresentato in effigie come sovrano e come falconiere con un rapporto tra testo e immagine che è in continuo colloquio con la rappresentazione del potere e con l’uomo di cultura, che scrive dopo aver osservato la natura, ben rappresentato il tutto sotto l’aspetto iconografico da elementi come gli effetti di venti e correnti nel volo degli uccelli oppure il movimento del corpo e dell’acqua nel nuoto del falconiere”.
In conclusione il professor Fulvio Delle Donne ha voluto ribadire il senso di questo Festival che ha avuto come temi “Cercare la pace. Stupire il mondo” e “Condividere i saperi tra Oriente e Occidente”: “L’idea guida è stata quella di mostrare Federico II come un modello di dialogo. L’imperatore svevo non era pacifista, ma quando è arrivato il momento ha scelto la pace: in seguito a un accordo diplomatico, lui e il sultano al-Mālik hanno perseguito certamente un vantaggio ‘particolare’, ma allo stesso tempo hanno arrecato beneficio all’intero mondo.
Federico era abituato a dialogare, in quel lago Mediterraneo che ci è stato raccontato. Alla sua corte si innovava per effetto dei saperi che si incontravano: che sviluppo avrebbe avuto la navigazione senza la geometria che Fibonacci riprendeva dal mondo arabo? Cosa sarebbe l’Occidente senza la riscoperta e la traduzione di Aristotele? Che sviluppo avrebbe avuto la medicina? Che cosa sarebbe stato del nostro mondo senza la rivoluzione culturale apportata dalla fondazione dell’Università di Napoli? Federico per primo ha affermato che lo studio e la conoscenza danno la vera nobiltà. L’imperatore svevo ci ricorda che solo la condivisione dei saperi conduce all’evoluzione della civiltà. Federico non è un’icona statica e muta: ci parla e offre insegnamenti importanti ancora oggi”.
foto : copertina del libro “Federico II” di Paolo Grillo (Mondadori)