Treia (Mc).- MARCHESTORIE approda in questo fine settimana al Teatro Comunale di Treia per raccontare un lavoro con la regia di Francesco Facciolli, dal titolo “Il lavoro come cura” le pie case di correzione e lavoro a Montecchio, fra ragione e sentimento. Tre spettacoli serali, da venerdì a domenica, alle ore 21.15 e uno mattutino, sabato alle 10.30, riservato agli studenti di terza media dell’I.C. Paladini.
L’evento principale consiste in una lettura teatrale. Fortemente voluto e sostenuto dall’amministrazione comunale l’iniziativa è proposta dalla Compagnia Valenti, che si è avvalsa della grande collaborazione dell’Accademia Georgica: “Convintamente sicuri di contribuire alla scoperta di tante situazioni storiche importanti e celate spesso nei nostri archivi ha detto l’assessore alla cultura e vicesindaco David Buschittari – abbiamo concordato con la compagnia la scelta di questo argomento, che fu anche tema di un recente convegno, per contribuire al ricordo di situazioni sociali che, anche dopo secoli, talora si ripresentano, sotto altre spoglie. ”
Si parla dell’istituzione e del ruolo sociale di un istituto particolare e molto proiettato in avanti, per quel tempo, cioè delle pie case di correzione e lavoro in favore dei giovani sbandati, poveri e orfani, a partire dall’anno 1781. Protagonista di questa iniziativa fu l’Accademia Georgica e fautore primo, fu papa Pio VI, il medesimo pontefice che qualche anno più tardi, nel 1790, su istanza dei notabili del paese, elevò al rango di città Montecchio, ridandole l’antico nome di Treia.
L’istituto venne fondato con Bolla Pontificia di Pio VI del 15 settembre 1781. Per la sua istituzione furono utilizzati il lascito di 600 scudi di Ulisse Serpentieri e i proventi derivanti dalla soppressione di sette confraternite di Treia, oltre a contributi imposti a diversi luoghi pii anche di fuori, impiegati per la creazione di una casa di correzione per giovani di ambo i sessi, dediti all’ozio e al vagabondaggio, condannati dal tribunale o segnalati dalle famiglie o dalla Curia di Camerino e dal Governo della Marca, al fine di abituarli al lavoro. Per i giovani condannati esterni a Treia e per i segnalati dalle famiglie era prevista una retta minima. Aveva anche lo scopo di fornire lavoro ai poveri, purché portasse utili all’istituto e di ricoverare anziani che ne facessero richiesta. Per iniziare si stabiliva di accogliere 12 ragazzi, vestiti e trattati su esempio dei cattivi di Foligno e utilizzati nella tessitura di lino e canapa, fino a quando non imparassero a lavorare tele fini. Tra i compiti previsti risultavano anche alcune spese di culto, derivanti dal fatto che il patrimonio dello stabilimento era stato creato anche con la soppressione delle sette Confraternite di Treia.
I protagonisti sono figure storiche minori, figure popolari che godevano della minore considerazione, da inserire in un’interpretazione dello stato sociale, legato alla Chiesa, che inventa una sorta di welfare ante litteram destinato a raddrizzare le situazioni di devianza. Aleggia e convive, nella istituzione di questa organizzazione, proposta e richiesta dai magistrati dell’Accademia Georgica, il coevo pensiero laico di Voltaire, eminente filosofo illuminista, quando dice in Candido o dell’ottimismo: “Il lavoro allontana da noi tre grandi mali: la noia, il vizio e il bisogno.
“Lavorare evita all’uomo di annoiarsi o di sprofondare nel vizio. Questo gli permette anche di mantenersi. Il lavoro è quindi utile all’uomo, anche se a volte è difficile o doloroso”.