Sirolo (An).- – Giovedì 8 agosto, al Teatro Cortesi di Sirolo, sarà rappresentata la tragedia Medea. La «Maga, che è quasi come dire fattucchiera, dea o semidea, assassina, riscattatrice degli assassinati di mafia… ». Così la definisce Violante che lo vede in scena ad affrontare il mito greco da una nuova ed entusiasmante angolazione.
Medea è diversa dal calcolatore e positivista Giasone; lei è in grado di scegliere le erbe, sa leggere le parole del vento, conosce le virtù dell’alba e sa scrutare nei misteri della notte. La principessa tessala si contrappone a Giasone attraverso un’altra visione del mondo dove troviamo la consapevolezza dei misteri e dei sentimenti come fattori determinanti della umanità.
La riscrittura scenica della tragedia di Violante intende accentuare la molteplicità dei ruoli assunti dal personaggio di Madre, di Regina e di Maga semidivina. Lei compie l’efferato gesto infanticida per sottrarre i figli a una schiavitù per non lasciarli nelle mani del marito Giasone che sceglie Glauce in seconde nozze. Medea rinnova l’efferatezza del suo crimine davanti a un impietrito Giasone per approdare infine nella terra del fuoco, una terra a tre punte, la Sicilia, per incontrare altri ‘estranei’ che cercano una ragione al lacerante dolore della perdita dei propri figli.
Ma “chi è Medea oggi?” Se la regina di Micene si fosse trovata a vagare fino ai giorni nostri – spiega Giuseppe Dipasquale – non potrebbe essere altro che una figura simile ad Alda Merini, poetessa e regina dell’anima della contemporaneità. La regina della Colchide è una leonessa ferita; «è l’incarnazione del felino e del femmineo eterno che opera per giustizia naturale. Ecco, questa nostra Medea è come il felino che sopprime i cuccioli più deboli e malati per sottrarli alla sofferenza della quasi impossibile sopravvivenza nella giungla degli uomini». Così un salto nella contemporaneità che conduce lo spettatore nell’alveo di una tragica mitologia del presente come l’emblema degli emblemi rappresentato dalla perdita di Giovanni Falcone. Dunque, un atto dove «Il divino e l’umano si intrecciano perdendo i confini e laghi di sangue si scoprono negli sterminati campi di grano».