Ricerca scopre come rallentare l’invecchiamento cerebrale

Ancona.- Pochi temi stanno attirando l’interesse dei ricercatori, delle agenzie internazionali di finanziamento della ricerca e dei responsabili della sanità come l’invecchiamento cerebrale, una conseguenza dell’allungamento della vita media di chi abita in questa parte del mondo e del fatto che il cervello anziano è il principale fattore di rischio per lo sviluppo di demenze.

L’invecchiamento cerebrale riguarda tutte le funzioni del cervello (sensoriali, motorie, cognitive, affettive, emozionali etc.), ma l’interesse prevalente è focalizzato sul declino cognitivo, la riduzione delle funzioni superiori, ovvero la diminuzione della capacità di apprendere, di ricordare luoghi o eventi successi da poco.

È intuitivo che la conoscenza dei meccanismi responsabili del declino cognitivo nell’anziano sia fondamentale per comprendere lo sviluppo delle più gravi malattie del cervello anziano, le demenze, inclusa quella di Alzheimer.

In un recentissimo studio, frutto di una collaborazione tra il Centro di Neurobiologia dell’Invecchiamento dell’IRCCS INRCA (Dott.ssa Marta Balietti) e la Sezione di Neuroscienze e Biologia Cellulare del Dipartimento di Medicina Sperimentale e Clinica dell’Università Politecnica delle Marche (Dott.ssa Elisa Principi), dirette dal Prof. Fiorenzo Conti, ricercatrici e ricercatori delle Università La Sapienza e Cattolica di Roma e pubblicato sull’importante rivista internazionale “Brain, Behavior and Immunity”, è stato dimostrato che le cellule della microglia, responsabili della protezione immunitaria del cervello, esercitano un ruolo finora sconosciuto e potente nel ridurre gli effetti dell’invecchiamento cerebrale.

Era noto che queste cellule subiscono cambiamenti che alterano la loro capacità difensiva e le inducono ad uno stato di attivazione continua che determina una condizione cronica che compromette le capacità cognitive e rappresenta un importante fattore di rischio per l’insorgenza delle demenze.

“Congratulazioni a tutto il gruppo di ricerca per questa importante scoperta – afferma il Rettore Prof. Gian Luca Gregori – che rappresenta un’ulteriore riprova dell’impatto della ricerca scientifica nella vita di ognuno di noi. La pubblicazione sulla prestigiosa rivista internazionale “Brain, Behavior and Immunity”, inoltre, dimostra l’eccellenza del lavoro delle ricercatrici e dei ricercatori e il costante impegno dell’Università e degli enti ricerca a favore del benessere delle persone e della crescita, anche scientifica, del territorio”.

Gli effetti della somministrazione intranasale di vescicole extracellulari a topi tardo adulti (a destra) ripristina molte funzioni delle cellule di microglia (da Brain, Behavior, and Immunity 122:58–74, 2024).

 

Lo studio è partito dall’ipotesi di poter “ringiovanire” la microglia invecchiata tramite l’uso di vescicole extracellulari (vescicole microscopiche prodotte dalle cellule che servono alla comunicazione con altre cellule) secrete da microglia coltivata in vitro e condizionata per assumere un profilo antinfiammatorio. Queste vescicole veicolano numerose molecole la cui esatta natura dipende dalla cellula che le produce e la cui funzione è quella di regolare l’attività della cellula bersaglio.

La somministrazione delle vescicole extracellulari per via intra-nasale a topi tardo adulti ha evidenziato non solo il ripristino della morfologia e della funzione delle cellule microgliali, con riduzione dell’infiammazione cerebrale, ma anche un aumento della plasticità neuronale e un miglioramento dell’apprendimento spaziale e dell’ansia (si veda la Figura riassuntiva). Particolarmente interessante è stato il riscontro di differenze nella risposta tra animali maschi e femmine.

Questo studio apre nuove, inaspettate ed economiche prospettive traslazionali, che saranno sviluppate nei prossimi anni e che potrebbero portare ad un significativo arricchimento dell’armamentario terapeutico.

foto: Prof. Fiorenzo Conti

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